La Colonia felice: utopia lirica (terza edizione)
mare, che si fondèa nel firmamento spolverizzato di stelle: - Babbo - dicèa in tuono accarezzante qual àlito di primavera - di là di quel mare che c'è
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era gelo. Giungèa egli, in quel punto, a uno spiano, cinto di audacìssimi abeti. Il raggio lunare vi si versava senza risparmio, e nel pallor di quel
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sparire. E gli sembrò, insieme, farsi pàllido il sole. Ma, innanzi che tramontasse quel sole, Mario, fra lo stupore di tutti e l'applàuso, giurava
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... Oh parla! ... Mario! è così fatto l'amore? - Mario, in un rapimento di cielo, meno intendendo di quel che sentisse, bevèa la voce di lei, flessuosa
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- rieducatosi il cuore - a quel più del dovuto, che è il beneficio. E il capitàno, che, in sulle prime, non solo si manteneva in una guardinga impassibilità
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attendèvala anche dal grembo di Tecla, ma d'ambe le parti, più che la messe, era atteso un pretesto allo sfogo degli odii - quel tale pretesto, che
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là, altri gruppi di gente affondata nel sonno e domata da quel bacco plebèo, che, eccitando il volere ad eccessi, avèali insieme, col tôrre il potere
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E la pace fu, e, in gran parte, si dovette al Beccajo. Caso nuovo! quel Gualdo, cui, nell'offesa, mal soccorreva, per la tardità della idèa e la
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, spianate contro di loro, per de' ballatòi. Un dì, Gualdo era uscito alla caccia. Era solo. Quel dì, il paesaggio parèa addobbato a festa; non fronda che
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qual di sparviero, e dalla chioma ebanina prolissa; quel giòvane stesso, che, a volte, appariva tra loro a mutar selvaggina con pane, e cui niuno facèa